Gli "esperti" dell'ultima ora
Da più parti ci è stato segnalato un articolo apparso recentemente sul sito un allevatore di cani da pastore dell'Asia Centrale, in cui si parla di mastini tibetani nativi. Come appassionati e studiosi dell'argomento riteniamo sia necessario fare alcune puntualizzazioni.
L'articolo si apre con alcune considerazioni generali, corrette, sulle differenze tra cani nativi e cani di selezione moderna. Ovviamente tali differenze sono note da anni alla maggior parte degli appassionati di cani tibetani e non solo pesi vicini ai 100kg sono assai inconsueti nella razza ma sopratutto il "tipo" mostrato (pur considerando che alcune foto sono ritoccate con photoshop) non è certamente quello ritenuto corretto e descritto nei vari standard internazionali.
L'articolo prosegue contestando correttamente l'identificazione degli ipertipi di moderna produzione cinese con i cani da monastero (chiamati "gom-khyi" in tibetano) ma mettendone in dubbio l'esistenza. E invece, l'esistenza di più tipi di mastini tibetani non solo è ben nota agli studiosi di cani nativi, ma è anche ben documentata da decenni.
Negli insediamenti stabili delle vallate, nei palazzi e nei monasteri sono stati fotografati e misurati mastini di taglia imponente, mediamente attorno ai 75cm alle spalle, con punte oltre gli 80 cm. Questi cani, chiamati complessivamente "rong-khyi" dai locali, sono i più grossi presenti in Tibet e sono alla base di tutte le osservazioni sulle misure quasi leggendarie dei mastini tibetani. Oltre che per la taglia, colpiscono anche per l'ossatura e le dimensioni della testa e per la presenza, nei soggetti adulti, di una certa abbondanza di pelle.
I "brog-khyi", genericamente definiti "cani dei nomadi", possono ancora essere divisi in due tipologie, una predominante nella regione dei laghi (parte nord-occidentale dell'altopiano tibetano), con misure medie effettivamente ridotte rispetto agli altri mastini tibetani, ed una tipica della parte sud orientale (regione dei fiumi), con dimensioni massime solo leggermente inferiori a quelle dei cani "da monastero", ma decisamente più agile e adatta a compiere degli spostamenti.
A fare la differenza non è la quantità di cibo, ma la funzionalità richiesta. Per un grande monastero o palazzo, la presenza di cani dall'aspetto imponente e minaccioso, anche se più scenografici che effettivamente destinati ad aggredire gli estranei, era motivo di vanto e prestigio. Per un pastore, semi stanziale o nomade che sia, mobilità e funzionalità rappresentano invece una priorità, e le dimensioni, ma sopratutto la struttura dei cani, sono dirette conseguenze delle caratteristiche sociali ed ambientali di una data area.
Le conclusioni a cui giunge l'autore, che scrive di non credere che siano mai esistiti canidi taglia rilevante nei monasteri tibetani e di poterlo addirittura escludere sulla base della sua esperienza, appaiono quantomeno avventate. Prima di tutto, ci risulta che la sua esperienza sulla razza in generale sia assolutamente irrilevante trattandosi di una sorta di neofita, appassionato genericamente di cani nativi, che si avventura per la prima volta in Tibet, affrontando per altro il percorso in assoluto più turistico.
L'autore dell'articolo, infatti, specifica in un precedente scritto di aver trascorso molto poco tempo in Tibet, appena pochi giorni, nella zona di Lhasa, avendo occasione di allontanarsi assai poco dai percorsi turistici. Tra l'altro la zona più vicina a Lhasa che sarebbe stato necessario visitare per documentare realmente dei mastini tibetani nativi di grandi dimensioni è attualmente chiusa ai visitatori stranieri (chiamata Lhoka in Tibetano, Shannan in cinese, si trova ad est della città di Tsedang).
E' sufficiente conoscere basilarmente la storia recente del Tibet per sapere che moltissimi monasteri tibetani furono distrutti durante le prime fasi dell'occupazione cinese e solo una piccola parte di essi è stata recentemente ricostruita ed aperta ai turisti. Ma nonostante questo, in alcuni monasteri sono stati recentemente fotografati cani di tipo corretto e buona taglia, probabilmente dono di pastori locali, a smentita delle sue affermazioni.
Bisogna anche ricordare che esiste una notevole documentazione, sia scritta che fotografica, sui cani presenti nei monasteri tibetani tra l'ottocento e la prima parte del novecento, e anche questa documentazione smentisce decisamente quanto scritto nell'articolo.
Dicendo che i cani tibetani sono assolutamente "liberi di riprodursi come meticci", l'autore dimostra di non aver ben chiara la situazione dei "veri" mastini del Tibet: il nome tradizionale "do-khyi", da lui stesso citato, fa riferimento al modo tradizionale di tenere questi cani, ovvero trattenuti da catene. E un cane trattenuto da una catena è, per definizione, "isolato", e certamente non in grado di riprodursi liberamente. A questo vanno sommate le necessarie considerazioni sull'estrema stabilità del tipo e sulla necessità che i pastori hanno di incrementare, e non di far decrescere, la funzionalità dei loro cani, come invece avverrebbe se gli accoppiamenti con i comuni cani di strada fossero tollerati o addirittura incoraggiati. Questo fatto è ben noto a tutti gli studiosi di cani nativi, e già l'esploratore Robert B. Ekwall, nel suo studio intitolato "Role of the dog in tibetan nomadic society" a questo proposito scrisse: "considerable efforts are made to keep the breed pure".
Nell'articolo e nei video a corredo, vengono inoltre mostrati molti cani indicandoli come "autentici mastini del Tibet", ma si tratta, per la maggior parte, di cani pariah, del tipo indicato come "I", "heavy extreme type" o "sheepdog like" dai Menzel, che studiarono intensivamente i cani ferali e semi-ferali già nella prima metà del '900 e le -vaghe- somiglianze tra questi ed i mastini sono da considerarsi quasi esclusivamente come un adattamento all'ambiente tibetano.
Altri cani mostrati nei video sono soggetti di scarsa o media qualità o generici cani da guardia, ricordando però che generalmente tutti i mastini sono tenuti legati, ma non tutti i cani legati sono mastini. Solo un soggetto, tra quelli mostrati, sembrerebbe essere un cane tipico di discreta qualità, almeno dal poco che si può osservare, visto che, stranamente, l'autore si sofferma poco su di lui.
Con questo non vogliamo certo affermare che i soggetti ipertipici o atipici, di moderna selezione cinese rappresentino il "vero" mastino tibetano, o che esistano soggetti nativi del peso di 100kg, ma è certo che un gran numero di soggetti nativi superi tranquillamente ed abbondantemente i 45kg che l'autore sembra porre come limite al peso della razza, e questo risulta già negli scritti di alcuni esploratori che visitarono il Tibet in passato (ad esempio, il già menzionato Ekwall cita un cane di sua proprietà del peso di circa 72kg, mentre il maschio ottenuto dal dr. N.Wallich a Shigatse nel 1828 pesava poco meno di 70kg), oltre che in tutti gli studi moderni.
Risulta anche chiaro che l'autore dell'articolo non abbia realmente letto "Il Milione" di Marco Polo, visto che l'affermazione: "potenti come un leone nelle fattezze e nella voce" non è presente nel testo originale.
In conclusione, il desiderio di fare corretta informazione sui cani nativi è senz'altro lodevole, ma deve essere fatto da persone che abbiano una reale competenza sull'argomento, altrimenti si rischia di diffondere solamente ulteriori sciocchezze, di "segno opposto" a quelle contestate, ma comunque non corrispondenti alla realtà. E questo, che piaccia o no, dovrebbe far riflettere tutti coloro che desiderano davvero far del bene alla cinofilia.
GcBoffano & E.Zoi